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L’IISS “Carlo Urbani” onora il 25 novembre

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Nel 1999 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituisce per il 25 Novembre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne: il giorno della morte violenta delle Mariposas (farfalle), nome di battaglia di tre sorelle (Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal) che nella Repubblica dominicana degli anni Cinquanta osarono sfidare il regime di Rafael Leonidas Trujillo.
Gli studenti dell’IISS “Carlo Urbani” di Porto Sant’Elpidio hanno voluto onorare tale giorno con un fash mob ed un messaggio letto dalla Rappresentante d’Istituto Lucia Ripa

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Buongiorno a tutti,

oggi è una giornata importante e spero che tutti, già questa mattina prima di venire a scuola, sapessero cosa si ricorda il 25 novembre. È il mio primo anno dall’altra parte e mi fa strano fare questo discorso, perché immagino cosa starete pensando. Magari siete solo felici di saltare un’ora o due di lezione e tornerete a casa esattamente come siete arrivati questa mattina, senza portarvi dietro nessuno spunto di riflessione in più. Oggi, a 17 anni, capisco l’importanza di questa giornata e ammetto che, per rendermene conto, ho dovuto prima toccare con mano questa realtà attraverso episodi di violenza subiti da persone vicino a me. La violenza di genere non è per forza fisica: non serve fare del male a qualcuno fisicamente per infliggergli una violenza. Purtroppo, posso dirvi che preoccuparsi per un’amica e sentirsi impotenti, quando lei è ancora innamorata di un ragazzo che l’ha trattata in modo violento o tossico, è una delle sensazioni più brutte che mi porto dentro ultimamente. La violenza è anche, e soprattutto, psicologica. Non starò qui a parlarvi di quali sono i tanti tipi di violenza di genere perché non è il mio compito. 

Troppo spesso si presta attenzione solo ai casi estremi, quelli che colpiscono tutti, che fanno notizia e impressionano, come la storia di Giulia lo scorso anno. Eppure nessuno parla mai abbastanza di quanto pesino, nelle ragazze della nostra età, i giudizi e i comportamenti dei primi partner. Relazioni tossiche, aspettative irrealistiche, critiche costanti o manipolazioni emotive: tutto questo lascia ferite profonde che non si vedono ma si sentono, e che a volte ci accompagnano per anni.

Devo confessarvi una cosa: per tanto tempo ho pensato che una ragazza subisse violenza solo perché, in qualche modo, “se l’era cercata”. Credevo che se non te la cerchi, la violenza non la subisci. Pensavo che bastasse comportarsi in un certo modo o fare certe scelte per evitarla. Poi, però, ho dovuto ricredermi. Ho visto mie amiche che la subivano, ragazze che non avevano fatto nulla di sbagliato, ma che avevano paura di uscire di casa o che temevano di incontrare il loro ex ragazzo in giro.

Le ragazze che stanno vivendo gli anni delle superiori sono particolarmente vulnerabili, perché si trovano in una fase della vita in cui stanno ancora costruendo la propria identità ed il proprio valore. Avere accanto un partner che manipola, svaluta o esercita un controllo costante su di loro può distruggere completamente la loro autostima e influenzare il modo di vivere le loro giornate.

Frasi come “Se mi ami, fai questo” o atteggiamenti che alternano affetto e freddezza per creare dipendenza emotiva; il famoso fenomeno del “love bombing”, che noi vediamo sempre così distante da noi, sono violenze silenziose, ma non per questo meno distruttive.

Molte di noi, purtroppo, accettano comportamenti tossici perché credono che sia normale. La cultura romantica che ci viene trasmessa, fatta di gelosie e possessività spacciate per amore, non aiuta. Ci insegnano che essere amate vuol dire sopportare e sacrificarsi, che “chi ti ama ti fa soffrire”, e così iniziamo a tollerare piccole umiliazioni, controlli ossessivi sui social o sui messaggi, fino a perdere del tutto il senso di ciò che meritiamo davvero. È un circolo vizioso che spesso non riconosciamo nemmeno quando ci siamo dentro. E poi c’è un altro aspetto che pesa moltissimo: il modo in cui noi stesse, come ragazze, ci comportiamo l’una con l’altra. Quanto ci piace il gossip? Parlare male di una ragazza? Commentare con leggerezza delle situazioni che, in fondo, fanno male? Quante volte, invece di solidarizzare, siamo le prime a ridere o sparlare delle “corna” che il fidanzato mette a qualcun’altra?

Mi ci metto anch’io tra le vipere, perché adoriamo raccontare queste storie, discuterne come se fossero pettegolezzi senza importanza. Però poi, appena succede a noi o a una nostra amica, tutto cambia. Ci troviamo davanti al dolore vero, alla realtà che brucia, e capiamo quanto può essere devastante sentirsi umiliate o tradite. È allora che ci diciamo che dobbiamo essere forti, che non possiamo lasciare che un ragazzo ci distrugga. E ci promettiamo di farci forza tra di noi, di aiutarci a vicenda. E poi? Siamo tutte brave a parole e meno con i fatti. Ci dimentichiamo troppo facilmente di ciò che abbiamo appena affermato. Dovremmo ricordarci che, in un mondo dove troppo spesso veniamo giudicate, controllate e svalutate, la solidarietà tra noi può fare la differenza.

E invece? Spesso siamo complici di un sistema che ci divide, che ci mette le une contro le altre. Ci hanno insegnato che dobbiamo competere per piacere, per essere “le migliori”, per conquistare l’approvazione degli altri. Ma tutto questo ci rende più fragili, più esposte a tollerare comportamenti che non dovremmo accettare mai. Se non riusciamo a farci forza tra di noi, chi lo farà per noi? Dobbiamo smettere di normalizzare certi atteggiamenti, non solo nei ragazzi ma anche tra di noi. Non possiamo più permetterci di essere indifferenti o superficiali, perché ogni commento, ogni parola detta senza pensarci, può fare male tanto quanto una violenza visibile. E questo non riguarda solo il tradimento o le relazioni tossiche, ma anche tutto ciò che contribuisce a farci sentire meno di quello che siamo.

So cosa stanno pensando molti di voi, soprattutto i ragazzi che ho davanti adesso: “Mamma mia, la solita pallosa, sempre le stesse cose.” E magari state pensando: “Anche i ragazzi subiscono violenza, eh!” Lo so, ragazzi, lo so. Anche io la pensavo così. Ammetto che per cambiare idea ho avuto bisogno di tempo e di confronto, e oggi devo ringraziare quelle persone che con tanta pazienza hanno provato a farmi cambiare idea. La prima è una delle mie migliori amiche, Viola, con cui ho discusso e litigato più volte su questo argomento e fu proprio lei a farmi riflettere sul fatto che la violenza di genere è particolare perché non nasce solo dalla rabbia o dall’odio, ma da un pregiudizio, dall’idea che una donna valga meno di un uomo. È una violenza che colpisce in quanto si è donne e non può essere paragonata ad altre forme di violenza, perché ha un significato diverso, più profondo e più antico. Questo non vuol dire che altre violenze siano meno gravi, ma che bisogna capire il contesto e il peso di quello di cui stiamo parlando.

Ecco perché sono qui a parlarne. Perché certe dinamiche iniziano presto, anche nella nostra età, anche nei nostri rapporti, e spesso non le riconosciamo subito. Pensiamo che siano normali, che sia tutto parte di una relazione. E invece non lo sono.

Forse molti di voi continueranno a pensare che sia solo un discorso noioso, che non serva a niente. E va bene, non mi aspetto di cambiare tutto in un’ora. Ma se anche solo una persona tra voi oggi esce da questa stanza con un pensiero diverso, con un dubbio, con una domanda che prima non aveva, allora sarà già qualcosa.

Perché, fidatevi, quando le vittime di questa violenza sono persone vicine a voi, è inutile piangere e disperarsi dopo. È normale che, solo quando ci passate davanti, iniziate a capirne davvero la gravità. Ma io vi auguro di non arrivare a quel punto, di rendervene conto prima, quando c’è ancora qualcosa che si può fare per evitarlo.

Ricordo bene una lezione della mia professoressa di italiano, la prof.ssa Cognigni, che è la seconda che devo ringraziare per quante ore ha speso a parlare di questo argomento, in cui aveva spiegato alla nostra classe cosa fare concretamente per fermare la violenza di genere. Una cosa fondamentale è non girarsi dall’altra parte: se uno del vostro gruppo si comporta male con la propria ragazza, se la tratta in modo tossico o violento e voi siete davvero suoi amici, diteglielo chiaramente. Non sostenetelo, non giustificatelo, perché se lo fate, diventate anche voi complici di quella violenza. Essere amici vuol dire anche avere il coraggio di fermare chi si sta comportando male, prima che sia troppo tardi. E questo vale per tutti, non solo per chi subisce, ma anche per chi, con il proprio silenzio, permette che certe cose continuino ad accadere.

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